Il Girotonno: manifestazione internazionale che si svolge tra fine Maggio e inizio Giugno (nel 2015 dal 30 Maggio al 2 Giugno); il protagonista indiscusso di questa manifestazione è il tonno rosso della nostra isola. L'evento è giunto alla tredicesima edizione e sara ricco di spettacoli, live cooking, e una gara tra chef di livello internazionale. Quest'anno si esibiranno artisti di fama mondiale quali: Renzo Arbore, Francesco Renga, Fedez, De Gregori
La quattordisecima sagra del Cuscus tabarkino (cascà di Carloforte): si terra il 26 e 26 Aprile 2015.
Carloforte corre "a gambe pai caruggi": Manifestazione podistica che si tiene a Carloforte a Settembre e di cui ho già parlato nella home page. Quest'anno dovrebbe essere il 5 di Settembre ma la data è ancora da confermare.
Mi accorgo che descrivendo la mia isola in questa maniera fornisco sì alcune utili informazioni ma non vado oltre a numeri indicazioni e nozioni che potete comunque trovare online o su riviste (anche se difficilmente troverete foto belle come quelle prese da Carloforte Foto) quindi provo a farmi cogliere l'anima della mia isola pubblicando qui frammenti di testi di 3 autori carlofortini:
Maria Simeone http://www.mariasimeone.it/
INNAMORATA DELLA MIA ISOLA.
Qualche volta mi viene chiesto come si possa, dopo
tanti anni, lasciare una città, un mondo brulicante di opportunità
e occasioni, per ritornare a vivere su un'isola. Io sono convinta che
a volte una città intera non basti, se non fa sentire a "casa
propria" e la propria casa è fatta di calore per l'anima. Credo
siano innanzitutto le persone che abbiamo intorno a fare "casa"
e credo sia straordinario vivere dove ogni angolo ricorda un pezzo
della propria storia, vivere tra la propria gente, dove i volti sono
familiari, dove, se cadi, c'è comunque sempre qualcuno che ti
solleva e sa dove accompagnarti. Non si è un numero. Non si è
sconosciuti. Non ci si sente mai soli. Su quest'isola si respira
l'odore dell'appartenenza, fusa nelle nostre cellule e li' vi dimora
per sempre, rendendo indimenticabile anche il più piccolo granello
di questa terra. Per questo rispondo "Si, è possibile", è
possibile lasciare tutto e ritornarci. L'isola è un'orgogliosa
sirena ammaliatrice, adagiata su un fianco mentre il sole, alle sue
spalle, tramonta; la osservi e ti cattura, non puoi resisterle, ne
rimani catturato per sempre. Forse è una specie di sortilegio, ma se
così fosse, sono felice di esserne rimasta vittima perché questo è
l'unico posto al mondo in cui mi sento veramente a casa.
Giovanni
Maurandi
IL
MARE PICCOLINO (dedicato a chi ama la mia terra)
"Non
allontanarti troppo" disse l'uomo al bambino.
"No"
rispose lui continuando a camminare sulla battigia. Era un punto
riparato; il mare era sicuro. Fece un bel tratto assicurandosi, ogni
tanto, che il padre fosse sempre in vista.
La
donna era seduta sulla sabbia asciutta; pensosa guardava l'orizzonte.
"Ciao"
la salutò il bambino.
"Ciao"
rispose lei sorridendo.
"Questo
è l'oceano, lo sai?"
"Lo
so."
"E'
la prima volta che lo vedo. Mi ha portato il mio babbo. E' grande."
"Immenso"
rispose lei.
"Ma
l'acqua è torbida... uh, guarda che onda grande!"
"Hai
visto? Qui ci sono onde anche più grandi di quella."
"Come
ti chiami?"
"Thamiris.
E tu?"
"Pedro."
La
donna sorrise. "Pietro" disse.
"No.
Pedro."
"C'è
una terra laggiù" rispose la donna indicando l'oceano "dove
il tuo nome è Pietro."
"Laggiù?"
"Si.
Oltre l'orizzonte, lontano, c'è un mare piccolino e, dentro questo
mare, un'isola piccolina che ha le acque così trasparenti che,
quando ti immergi, riesci a vederti le unghie dei piedi."
"Uau!
E' un bel posto?"
"Si."
"Tu
ci sei stata?"
"Si,
tanto tempo fa."
"E
vorresti tornare?"
"Si."
"E
ci tornerai?"
"Si,
un giorno ci tornerò."
Il
bambino restò in silenzio per un po'. Prese una manciata di sabbia e
la fece scivolare fra le dita.
"E
aspettando di tornarci, cosa fai?" domandò alla fine.
"Lo
porto dentro il cuore e ci torno col pensiero, un pochino, ogni
tanto" rispose lei, "come tu farai con quest'oceano, quando
ripartirai."
"Dovrò
avere il cuore grande per farci stare l'oceano" disse il bambino
sorridendo. "A te basta un cuore piccolo, per farci stare quel
mare piccolino."
"Non
basta un cuore piccolo per farci stare quel mare e quell'isola"
rispose la donna con un sorriso. "Ci vuole un cuore più grande
di quest'oceano. Molto di più."
(18.7.2014)
I
COLORI
Li
conoscete i colori della mia isola? Quelli che indossa nella luce
bassa di un pomeriggio di marzo che si congeda? Il blu del mare
increspato dal maestrale, il turchese del cielo limpido, il violetto
delle scogliere lontane. Il verde dei prati, quello più cupo del
pino, del lentisco, quello della mimosa, dell'oleandro, del mirto. Il
rosa dei fenicotteri, il bianco dei fiori di mandorlo e delle case
sparse. Lo conoscete il profumo del salmastro, l'odore delle alghe,
del rosmarino e della terra umida?
Chi ha conosciuto tutto questo,
lo porta dentro le ossa, nella mente e nel cuore, e quando lo ritrova
se ne riinnamora. (28.3.14)
Mariano
Strina:
Eppure,
qualche istante fa, appena messo piede a terra, mi sono reso conto di
quanto improbabile fosse ciò che stavo osservando e la domanda che
insistente mi frulla nella mente è: come sia possibile che, a
distanza di quasi mezzo secolo, nulla sia cambiato del paese che ho
conosciuto.
Al
centro del molo si staglia, esattamente come allora, un chioschetto
di forma ottagonale, realizzato con assi di legno, pitturate nei
colori sfavillanti dell’arcobaleno. Da bambini, quelle tinte
sgargianti, ci attiravano come falene al lume. Alcuni cartelli
metallici, reclamizzanti gelati e ghiaccioli dell’Eldorado, ne
arredano le pareti. Un paio di ragazzini si accalcano sull’unico
lato aperto del chiosco. Uno chiede ad alta voce di avere un
ghiacciolo Arcobaleno, un altro, superandolo in tono, nel tentativo
di essere servito per primo, vorrebbe comprare un Camillino. Poco
dietro alcuni adulti, che dai vestiti parrebbero pescatori,
confabulano fra loro. Anni fa sarebbero stati in coda per acquistare
il ghiaccio che sarebbe servito a mantenere fresco il loro pescato. E
se nulla fosse cambiato? Mi guardo intorno impaziente, alla ricerca
di elementi che possano consolidare la mia astrusa ipotesi. Sul
fronte del porto si distendono in ordinata fila, fin quasi a
raggiungere il molo Sanità, una lunga teoria di ficus benjamini.
Alle spalle degli alberi e tra le prime case, scorre la passeggiata,
piastrellata con quadre pianelle in cemento, interrotta da alcune
aiuole di forma ovale, cintate da un rotondeggiante muretto in
cemento e da una bassa balaustra color verde smeraldo. Al centro
della piazza la statua di Carlo Emanuele III, monca del braccio
destro, e tutt’attorno i tavolini circolari in formica, colorati in
rosso e verde, e le seggiole multicolori, in plastica intrecciata e
ferro verniciato, dei bar che si affacciano sul lungomare. Seduti
sulle panchine di verde smaltato, poste all’ombra dei ficus, stanno
degli anziani che chiacchierano a voce alta fra loro. Alcune
casalinghe, abbigliate con vestiti di lycra a motivi floreali,
attraversano la piazza, portando a spalla la sporta della spesa.
Indagatore, lo sguardo s’incrocia con quello di un signore di mezza
età, abbigliato in maniera alquanto dimessa. L’uomo, che porta di
traverso sul capo un basco blu di lana, mi fissa incuriosito per
alcuni istanti. Il sorriso di cortesia che mi rivolge, mette in
mostra alcuni denti fasciati in oro. Con gesti abituali, dal risvolto
della manica, tira fuori un pacchetto di sigarette Nazionali
Esportazione. Le riconosco dalla morbida carta verdognola, dove
spicca in nero la figura di un veliero. Senza smettere di guardarmi,
strizzando gli occhi, come se stesse sforzandosi di ricordare chi
fossi, ne estrae una e l’accende con un cerino, attento a
proteggere la fiamma dalla brezza, tenendo le mani a coppa. Tira
alcune lunghe boccate con fare pensoso poi, quasi gli fosse venuto a
noia, mi saluta con un cenno del capo e se ne và. Sono turbato. Per
quanto possa essere rassegnato a subire ogni stranezza mi stia
capitando, l’incongruenza logica di quanto mi circonda supera la
più fervida immaginazione. Ogni particolare che mi scorre sotto gli
occhi è esattamente uguale a come l’ho vissuto da bambino. È come
se, da quando lasciai l’isola, non fossero trascorsi svariati
decenni ma una ridicola manciata di ore. Assorto nelle mie
improbabili congetture mi avvio verso le Calcinate, il quartiere dove
sono nato. Percorro appena qualche decina di metri. Davanti al
palazzo di trachite gialla, che accoglie gli uffici della Banca
Commerciale, mi fermo di colpo, attratto da quanto accade.Alcuni
adolescenti stanno giocando alla cavallassa. Sono in tre a provare a
sorreggere l’urto del gruppo di saltatori, a formare il montone. Il
primo, il capo, che è quello più robusto, sta prono con le braccia
appoggiate al muro del vecchio edificio. Gli altri due lo seguono a
ruota, uno dietro l’altro, sorreggendosi con forza al fondoschiena
del compagno che lo precede. Al “pronti … via” uno dei
saltatori prende la rincorsa. Regola vuole che sia tra i più
leggeri. Arriva velocissimo e spiccato un prodigioso balzo in aria
atterra, con i palmi delle mani aperti, sulla schiena del “montone”
di mezzo, per quindi rimbalzarsi, in apparenza senza alcun sforzo,
fin sulla nuca di quello frontale. Ilarità, sogghigni, schiamazzi.
Gli altri saltatori si agitano con allegra frenesia, finché anche il
secondo si decide a partire. Anch’egli salta con grande agilità
atterrando appena a ridosso del compagno. In un crescendo di baccano,
uno appresso agli altri, tutti i ragazzi si succedono nei salti. Il
montone, a ogni atterraggio, sbanda, barcolla paurosamente, ma sembra
reggere l’urto. Il capo montone è sicuro di avercela fatta e urla,
come un indiano navajo in battaglia, la sua (quasi) certa vittoria al
cielo. Ma
è il salto conclusivo a infrangere le sue speranze. L’ultimo
saltatore è uno grosso. Il più pesante del gruppo, che deve
mettercela tutta per riuscire a compiere un pur misero balzello,
eppure bastante a produrre lo sfracello. Il montone s’inarca
paurosamente, come un arco teso al massimo, scricchiola, traballa,
ondeggia e per ultimo si sfalda, schiantandosi al suolo e
trascinandosi appresso tutto il suo giubilante carico. Cavallu morsu
urlano tutti insieme i ragazzi scalmanati. E si azzuffano, e si
schiacciano, e si mordicchiano e pizzicano. Fanno la nassa. Ed è
tutto risate e gorgoglii, ansimi e sospiri. Pura, semplice e
trascinante felicità fanciulla. E dimentico di tutto, incurante
delle recenti perplessità, mi verrebbe da tuffarmi in mezzo a loro.
Sudare, sbattermi, lottare e ridere. Soprattutto ridere. Ed è solo
con grande sforzo che riesco a trattenermi dal farlo. Agli occhi di
quei ragazzi parrebbe assurdo e senz’altro mi renderebbe ridicolo.
Eppure il mio cuore è loro grato e mi sento ebbro di gioia come non
mai da tempo infinito.
È
con un animo nuovo che mi accingo a proseguire nel mio tragitto. Non
ho ancora trovato risposta alle numerose domande che mi affollano i
pensieri, ma ho maturato la consapevolezza che l’imperscrutabile
scelta di giungere fino a qui, al fine ultimo della mia vita, mi
condurrà a qualcosa di positivo. Non ho idea alcuna di cosa possa
trattarsi, in questo momento sento che non ha nessuna importanza.
Sarà il tempo a svelare le impenetrabili architetture del destino.
Per ora mi accontento di assaporare tutto quanto mi gira attorno, per
quanto sconclusionato o incredibile possa apparirmi, e compiacermi
per ogni attimo trascorso, che mai avrei pensato di così gradevole
malinconia.
Sandro Emanuelli :
"IL SACRO SCOGLIO"(5 Maggio 2004)
Forre profonde fucine di segreti,
baie nascoste in alcove naturali,
monumenti granitici emersi dal mare,
venti costanti forieri di salmastro,
aridi cespugli che spuntano tra rocce
e verdi praterie cosparse di fiori
per celebrare le nozze della vita
in Primavera.
Gente dura, provata dal lavoro,
con gli occhi perennemente rivolti al mare;
madonne dai capelli neri e
l’occhio fiero;
uomini con pelli di cuoio salato
che coprono un cuore grande e misericordioso,
figli della stessa madre che onorano da sempre,
l’amicizia.
Figlio di Pegli, trovo qui la storia
del mio popolo, nell’ antica parlata;
mi sento antenato e discendente,
padre e figlio, zio e nipote;
rivivo le antiche usanze, i giochi
dei bimb,i le filastrocche, i canti.
Grazie amato Scoglio, grazie fratelli miei! "
Poesia scritta al suo arrivo nell'isola
.
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